Le Machinète - Schede

Nascita ed evoluzione delle macchine per scrivere


1 - Dalla stampa alla macchina per scrivere


A partire dal XV secolo l’idea di realizzare macchine per sostituire la scrittura manuale cominciò a diffondersi e nel corso del tempo furono realizzati più di un centinaio di prototipi. Tra questi tentativi si possono annoverare il tachitipo, creato nel 1823 da P. Conti e dieci anni più tardi la prima macchina per scrivere con leve disposte circolarmente, brevettata da S. Progin.

Il prototipo italiano della macchina per scrivere può essere individuato nel cembalo scrivano, brevettato da G. Ravizza nel 1855, che ha ispirato numerose realizzazioni successive. La macchina era dotata di una tastiera orizzontale, il dispositivo per fissare l’interlinea, il campanello per indicare il fine riga, il nastro inchiostrato e il telaio mobile.
La vera svolta avvenne tra il 1867 ed il 1873, quando gli americani C. Sholes, S. W. Soule e C. Glidden brevettarono diversi modelli che cedettero agli imprenditori Densmore e Yost. Questi ultimi si accordarono con P. Remington, proprietario di una fabbrica di armi e di macchine da cucito, che diede l’avvio alla prima produzione industriale di macchine per scrivere. L’aspetto di questi primi esemplari, ingentiliti da una ricca decorazione floreale e dotati di un tavolino con pedale in grado di far avanzare la carta, rimanda alle coeve produzioni di macchine da cucito e non a caso si deve al disegno di un progettista del dipartimento di macchine da cucito della Remington.
Il modello poteva scrivere solo in lettere capitali e fu il primo ad introdurre la tastiera con la sequenza di tasti QWERTY, ancora in uso nelle tastiere dei nostri computer.
   

2 - Un inizio difficile


A differenza del telefono o dell’automobile, l’introduzione della macchina per scrivere non riscosse un immediato successo. Nei primi tempi la scrittura a macchina doveva risultare fredda, priva del tocco personale dato dalla scrittura manuale. Inoltre battere a macchina doveva essere piuttosto difficile, sia per ragioni tecniche che per l’impossibilità di vedere il testo mentre si batteva a macchina.
 

Fu probabilmente durante un viaggio a Boston che lo scrittore americano Mark Twain vide per la prima volta una macchina per scrivere, che acquistò intorno al 1874. Twain fu probabilmente il primo ad applicare questo sistema di scrittura alla letteratura.
Quando nel 1905 fu pubblicata su una rivista americana una puntata della sua autobiografia in cui menzionava la sua esperienza con la macchina per scrivere, la Remington colse immediatamente l’opportunità di utilizzarla a fini pubblicitari, pubblicando un annuncio su Harper's.
Col tempo i vantaggi legati all’introduzione delle macchine per scrivere negli uffici furono comunque apprezzati e le macchine cominciarono a diffondersi gradualmente. Innanzi tutto, oltre a garantire una migliore leggibilità dei testi, scrivere su una tastiera era generalmente più veloce che scrivere a mano, anche se ancora fino alla metà del 1880 i dattilografi utilizzavano esclusivamente due o quattro dita delle mani per battere. La maggiore velocità di battitura rispetto alla scrittura a mano aumentò con l’introduzione della battitura a dieci dita e quando una dimostrazione pubblica del 1888, molto pubblicizzata, ne comprovò la superiorità. Un altro vantaggio legato all’impiego della macchina per scrivere negli uffici era dato dalla possibilità di creare copie multiple degli scritti grazie alla carta carbone, introdotta intorno al 1870.
 

3 - La rivoluzione della Underwood


Il primo modello, Remington 1, fu presentato all’esposizione di Filadelfia del 1876. Presto cominciarono a comparire sul mercato americano anche produzioni concorrenti, con i marchi Columbia, Bar Lock e Yost (a sin. Remington n. 7, 1896, Museo di Crema).
Nessuno dei nuovi prodotti introdotti sul mercato riuscì però a scalzare dal mercato i prodotti Remington fino al momento in cui fu inventato il primo modello a scrittura visibile, prodotto nel 1895 dalla Underwood, su progetto dello statunitense di origine tedesca F. X. Wagner.
Dopo che la sua idea di scrittura visibile era stata scartata dalla Remington, Wagner propose la sua idea alla Underwood. Il modello Underwood n. 1 viene considerato la prima macchina per scrivere moderna e sarà universalmente imitato. Nel 1901 la Underwood Macchina da scrivere Underwoodintrodusse il leggendario modello Underwood n. 5 (a sin. Underwood 5, 1917, Museo di Crema), che fu venduto in milioni di esemplari e costituì il modello di riferimento per tutta l’industria delle macchine per scrivere. La società rimpiazzò quindi la Remington come prima produttrice nel mondo di macchine per scrivere. In generale i sistemi di scrittura, visibile e non visibile, si avvalevano quasi sempre di tastiera e martelletti ma non tutti i modelli furono concepiti nello stesso modo.


 
 

Produzione e innovazione italiana a Ivrea e a Crema
 

4 - La produzione Olivetti

 

Parallelamente alle produzioni americane, in Europa si sviluppò una fiorente produzione, legata in particolare alla Germania, con i marchi Adler, Continental, Erika, Ideal, Titanic e Triumph.
In Italia nel 1908 venne fondata ad Ivrea la Olivetti “prima fabbrica italiana di macchine per scrivere”. Al momento della fondazione la società contava 20 dipendenti e le strutture produttive consentivano di realizzare circa 20 esemplari alla settimana. Il primo modello (Olivetti M1) venne presentato all’Esposizione Internazionale di Torino del 1911.
Negli anni successivi l’azienda crebbe rapidamente sviluppando la sua presenza commerciale in Europa e nel mondo. Nel 1920 fu presentato il nuovo modello M20 e, grazie alla riorganizzazione del lavoro e all’introduzione della lavorazione in serie, alla fine degli anni ’20 la produzione poteva raggiungere i 13.000 esemplari. In Spagna fu costituita nel 1929 la prima consociata estera, a cui fecero seguito consociate in Belgio, Argentina e in diversi altri paesi europei e latino americani. Furono lanciati nuovi modelli tra cui la Olivetti MP1, primo modello portatile (1932). La produzione negli anni ’30 e ’40 si estese a telescriventi e calcolatrici.
Un contributo essenziale alla rapida espansione della società venne dato da Adriano Olivetti, che diventò direttore generale nel 1932 e presidente nel 1938. La sua conduzione aziendale impresse uno stile ed una cultura che faranno di Olivetti un esempio unico nella storia industriale italiana ed europea. Adriano Olivetti mostrava grande attenzione verso lo sviluppo della tecnologia e dell’innovazione, accentuando nel contempo l’espansione sui mercati internazionali, curando il design industriale e affrontando le problematiche sociali del lavoro e del rapporto tra azienda e territorio. La sua personalità poliedrica lo portò ad avviare la progettazione e costruzione di nuove fabbriche, uffici, case per dipendenti, mense e asili, dando origine ad un articolato sistema di servizi sociali.
Dei modelli più importanti prodotti da Olivetti in questo periodo si ricordano la Lexicon 80 (1948), macchina per scrivere standard, la Lettera 22 famosa macchina per scrivere portatile (1950) e la calcolatrice Divisumma (1948).
Nel 1958 l’Olivetti contava oltre 24.000 dipendenti ed esportava circa il 60% della sua produzione. Allo sviluppo delle strutture commerciali e produttive all’estero si aggiunse nel 1959 l’acquisizione della Underwood. Sempre negli stessi anni Olivetti compì la prima importante svolta tecnologia della sua storia, investendo nella emergente tecnologia elettronica e aprendo un piccolo laboratorio di ricerca a New Canaan nel Connecticut e creando nel 1955 un laboratorio di ricerche elettroniche nei pressi di Pisa.
In una celebre fotografia del 1940 il giornalista Indro Montanelli viene ritratto poco più che trentenne mentre batte a macchina un articolo seduto su una pila di libri e appoggiato al muro. Questa scena divenne rapidamente l’emblema stesso del mestiere. Anche se l’esemplare riprodotto nella fotografia non poteva essere una Olivetti Lettera 22, prodotta soltanto un decennio più tardi, il modello portatile divenne rapidamente lo strumento utilizzato dal giornalista di Fucecchio in tutta la sua lunghissima carriera. Compatta, essenziale ed affidabile, dotata di un design innovativo, la macchina accompagnò Montanelli a Budapest nel ’56, lo seguì nel trasloco dal Corriere al Giornale nel 1974 e servì per la stesura di romanzi, pièces teatrali, sceneggiature di film e per i numerosi volumi della Storia d’Italia. All’inizio degli anni ’80, quando PC e videoterminali cominciarono a diffondersi nelle redazioni, Montanelli rimase fedele al suo vecchio strumento, fino al dattiloscritto della “Stanza” del 4 luglio 2001, l’ultimo articolo pubblicato in vita.
 

5 - Gli inizi della produzione a Crema


Accanto al marchio Olivetti si svilupparono contemporaneamente anche altri marchi italiani come Serio, Invicta, SIM ed Antares. L’inizio della produzione di macchine per scrivere a Crema risale al 1932, quando venne costituita la Società Anonima Serio che l’anno successivo inaugurava il nuovo stabilimento tra viale Santa Maria e via Mulini e iniziava la produzione del modello SABB, seguito in breve tempo dal modello Mondial e nel 1934 dal modello Everest 42. Proprio il nome del modello di punta, Everest, costituirà per anni il marchio identificativo della fabbrica .
La florida posizione dell’azienda fece sì che nel 1940 si contassero 509 operai, 26 impiegati, 63 agenzie di vendita in Italia, e un indotto costituito da alcune centinaia di meccanici aggiustatori. Negli anni ’50 si arrivò a contare oltre 1.200 dipendenti.
Una figura di spicco nel panorama della produzione industriale di questo periodo fu indubbiamente rappresentata da Eliseo Restelli (1903-1973). Cremonese di nascita e milanese di adozione, Eliseo Restelli giunse a Crema chiamato dalla Serio, dopo aver già maturato una certa esperienza nel settore delle macchine per scrivere. A Crema Restelli, insieme ad un nutrito gruppo di tecnici, progettò a partire dagli anni ’30 i più importanti modelli prodotti dalla Serio, sia di macchine per scrivere che da calcolo.
Uscirono da progetti Restelli i modelli di macchina per scrivere Everest 42 (1934), Everest 44, dotato di carrello rialzabile per le maiuscole (1935), Standard (1936), S100 con cestello mobile (1937), ST (1948), K2 (1952) fino al modello Standard 92 (1954), che presentava importanti novità tecniche, come l’introduzione e l’espulsione automatiche del foglio, carrelli che arrivano fino a 250 spazi, marginatori automatici, elettrificazione del carrello, per giungere infine al nuovo modello di portatile degli anni ‘60-62, la K3. Grande fortuna ebbero anche le calcolatrici meccaniche e le addizionatrici elettriche. I meriti acquisiti nel lavoro gli valsero la laurea honoris causa in ingegneria, conferitagli nel 1954 dalla Sequoia University di Los Angeles.
L’attività dell’ing. Restelli non si limitò alla sola progettazione ma investì altri settori della società, dalla strutturazione di una ampia ed efficiente rete commerciale fino alla definizione di modi e tempi del lavoro in azienda.
 
Negli anni ’60 la forte concorrenza di altre società come la Olivetti spinse i soci della Serio a cedere gradualmente le attività alla società di Ivrea, con una progressiva diminuzione della produzione, che portò nel 1969 alla fusione delle due aziende. Il nuovo stabilimento Olivetti fu realizzato in via Bramante. I dirigenti di Ivrea decisero di affidare allo stabilimento di Crema un ruolo strategico per la produzione di nuovi modelli, incrementando inoltre il numero dei lavoratori, che nel 1970 giunsero a 3.150 unità. Crema divenne ben presto sede di produzioni di avanguardia: nel 1978 fu progettata e realizzata la prima macchina per scrivere al mondo elettronica (modello ET 101), seguita da nuove produzioni. Il modello ET 101 ottenne immediatamente un successo clamoroso e fu seguito successivamente da nuovi modelli, dotati di display (ET 201), di memoria elettronica e floppy disk (modello ET 35).
L’avvento dell’elettronica portò ad un radicale cambio di strategia aziendale che comportò la massiccia riduzione del personale, la chiusura dell’officina meccanica e il ridimensionamento di numerosi reparti. Da questo momento prese l’avvio una lunga vicenda fatta di periodi di cassa integrazione e prepensionamenti, di scioperi e prese di posizione delle autorità cittadine. Nel 1988 la società contava poco più di 700 unità e nel 1992 l’Olivetti di via Bramante chiuse ufficialmente, mettendo in mobilità 500 dipendenti, 350 dei quali furono ricollocati nel pubblico impiego.
 

6 - La produzione di macchine per scrivere a Crema


La costruzione delle macchine per scrivere comportava grandi competenze e disponibilità avanzati apparati tecnologici.
Diverse erano le materie prime necessarie: il ferro, la ghisa, la gomma, l’alluminio e il magnesio.
La lavorazione dei pezzi era estremamente complessa e avveniva in reparti specifici. Leve e cinematismi erano gestiti da molle calibrate, progettate singolarmente per la funzione che dovevano svolgere. Nel reparto di pressofusione erano realizzate scocche e carrozzerie in alluminio tramite un complesso processo di fusione a 800 gradi. I pezzi così ottenuti transitavano nel reparto di pulitura, dove venivano puliti dai residui di lavorazione tramite un processo di sgrassatura e disoliatura seguito dall’asportazione di tutte le asperità della fusione e dalla lucidatura. Seguivano poi gli eventuali processi di trattamento termico e di finitura galvanica per conferire alle parti maggiore durezza e resistenza, elasticità o protezione superficiale.
I pezzi passavano quindi al reparto di verniciatura delle carrozzerie e di tutte le parti a vista, per conferire al prodotto finito un aspetto piacevole ed una maggiore durevolezza.
Alcune parti della macchina necessitavano di una regolazione della struttura: nel reparto di raddrizzatura ad esempio i pezzi erano sottoposti ad una verifica di planarità o di linearità, prima di accedere ai reparti di montaggio.
Nel reparto caratteri venivano ricalcati i caratteri, saldati sulle leve, posizionati ed allineati, dando luogo ai cosiddetti cestini che venivano a loro volta inviati ai reparti di montaggio.
Nel reparto di montaggio confluivano quindi tutti i pezzi lavorati separatamente in base alle caratteristiche specifiche: qui oltre all’assemblaggio dei pezzi si procedeva al collaudo finale, consistente in una prova di scrittura.
Il pezzo così finito e collaudato giungeva infine nel reparto imballo e spedizioni per le operazioni finali.
 

7 - La collezione Tinelli


La collezione recentemente acquistata dal Museo è stata raccolta negli anni da Ludovico Tinelli.
Piacentino, classe 1928, Lodovico Tinelli ha dedicato una vita intera alla macchina per scrivere, specializzandosi nella vendita e nella riparazione di macchine nuove e usate e sviluppando contemporaneamente una grande passione per la raccolta di macchine per scrivere rare e preziose. Nel corso degli anni ha raccolto più di duecento esemplari, molti dei quali costituiscono pezzi unici, dando vita ad una delle collezioni più complete e qualitativamente migliori presenti in Italia. Gli esemplari esposti sono funzionanti, grazie alla preziosa opera di recupero e restauro operata dal collezionista, e presentano un panorama completo dell’evoluzione tecnologica e tipologica delle macchine per scrivere a partire dal XIX secolo.
 
Risalgono al 1800 gli esemplari dotati di ruota porta caratteri (Hammond 1888), con cilindro porta caratteri intercambiabile (Blickensderfer 1896), cieche, con due tastiere (maiuscolo e minuscolo), a un tasto solo (Merrit 1890), con leve battenti dall’alto in basso (Franklin 1891) o con leve di scrittura posizionate a “orecchie d’asino” (Oliver, modello 3 del 1898).
Le produzioni del XX secolo sono rappresentate dalla prima macchina a scrittura visibile (Underwood 1900), dai piccoli modelli da portare in borsa o nella tasca del cappotto (Bennet 1907 e Virotyp 1914), dalla prima Olivetti M1 del 1911, dal modello con carrello ribaltabile utilizzato dai corrispondenti della I guerra mondiale (Corona Folding 1912), e dalla Noiseless (1914), la prima macchina silenziosa, ideata per evitare il rumore della battuta sulla carta.
La collezione comprende inoltre modelli particolari, come la macchina per scrivere in braille, quella per incidere note musicali, il modello Lettera 22, utilizzato da Indro Montanelli (1950), e il modello a un tasto solo (American Index), impiegato da Giovanni Pascoli.