Scheda della città

La città di Crema si è sviluppata all’interno di un’area geografica in cui numerosi scorrono i corsi d’acqua (fiumi, canali, risorgive, rogge, scolmatori ecc.) ed è appunto la presenza dell’acqua l’elemento che ha determinato in modo peculiare la natura e la conformazione dell’ambiente circostante fin dai tempi più antichi.

In origine infatti tutto il territorio cremasco era sommerso dalle acque che, ritirandosi, lasciarono progressivamente posto alle terre emerse. Fra queste andò sempre più definendosi l’Insula Fulcheria o Fulcherii che, come sta a indicare il termine “insula”, rimase comunque circondata per lungo tempo da una grande palude chiamata lago (e talvolta anche mare) Gerundo.

Gli attuali fiumi Serio, Adda e Oglio, i numerosi canali e rogge del Moso (il territorio a nordovest del centro abitato di Crema, che più a lungo e in maggior misura ha conservato gli antichi caratteri di acquaticità) e la serie di fontanili (ancor oggi attivi, almeno in parte) da cui emergono in superficie le falde idriche del sottosuolo sono il retaggio delle originarie paludi. Una naturale evoluzione portò quelle acque a scorrere in modo più ordinato e a scavarsi un letto meno incerto formando e delimitando un territorio decisamente fertile. L’acqua diventò allora una preziosa risorsa per gli abitanti dei luoghi, utile per le coltivazioni, come via di comunicazione e come elemento naturale di difesa.

 

Il popolamento della zona si può far risalire al quarto millennio a.C., come dimostrano i ritrovamenti di alcuni esemplari di fauna (Bisonte antico, cervidi) e di manufatti in buona parte conservati nel Museo civico di Crema (frammenti di pietra lavorata, punte di frecce, asce in pietra).

Le successive testimonianze in bronzo e i reperti ceramici consentono di risalire ad alcune popolazioni che si stabilirono sul territorio cremasco in epoca preromana: i liguri, i veneti e sicuramente le varie etnie celtiche di insubri e cenomani.

Nel III secolo a.C. i romani sconfissero le tribù insediate nella Gallia Cisalpina e ne occuparono le terre deducendo proprie colonie a Milano, Bergamo, Treviglio, Lodi, Piacenza, Pavia, Cremona. La loro presenza in area cremasca nei secoli successivi è documentata da testimonianze diffuse, che divengono più consistenti nell’epoca tardoimperiale. In proposito va ricordato che la vicinanza di Milano, capitale dell'impero dal 286 al 402 d.C., diede sicuramente impulso a uno sviluppo demografico ed economico del territorio, di cui beneficiò soprattutto Palazzo Pignano che si affermò come un importante insediamento: nell'attuale sito archeologico sono stati recuperati i resti di una villa tardoromana con edificio cultuale e forse di un più vasto complesso (ben documentati in un'apposita sala del Museo civico di Crema).

 

Secondo la tradizione, la fondazione della città di Crema risalirebbe al 15 agosto 570 quando, di fronte alla minaccia rappresentata dall’invasione longobarda, gli abitanti della zona trovarono rifugio nella parte più elevata dell’“isola della Mosa”, approntandola a difesa sotto la guida prima di Cremete, conte di Palazzo, e poi di Fulcherio. Da questi due personaggi deriverebbero perciò i toponimi Crema e Insula Fulcheria.

Oggi tuttavia gli studiosi sono assai più propensi a ritenere che si sia verificato esattamente il processo inverso, e cioè la creazione delle due figure eponime a partire dalla denominazione dei luoghi, e sottolineano, pur con tutte le cautele del caso, la ridotta attendibilità della tradizione storiografica sulle origini di Crema, ricalcata troppo da vicino su quella della nascita di Venezia ed elaborata proprio nel periodo in cui la città faceva parte dei possedimenti della Serenissima Repubblica (dal 1449 al 1797).

Numerose e di varia natura sono in ogni caso le interpretazioni etimologiche dei due toponimi: rifacendosi al greco, cremàssignificherebbe erta, così come Fulcherii deriverebbe da fülàrkos, cioè comandante di una fülé, tribù. Secondo altri il nome Crema sarebbe un’abbreviazione di Cremona e c’è chi lo pone in stretta relazione con la distruzione di quella città per mano dei longobardi di re Agilulfo (603). Altri ancora si rifanno a Cremna, città della Panfilia, i cui abitanti sarebbero migrati in Italia nel 1500 a.C. Sul versante latino ci si rifà al verbo cremare, bruciare, per cui Crema sarebbe sorta sulle ceneri di qualche luogo vicino (Palazzo Pignano?) dato alle fiamme. Tornando al greco, krema starebbe per negozio o mercato; né mancano le ipotesi di fondazione celtica o etrusca.

 

Il fatto certo è che, stando almeno ai documenti, i nomi di Crema e di Insula Fulcheria appaiono solo a partire dalla metà dell’XI secolo. Per cui, come attorno al nome, così anche attorno alle origini della città e del territorio circostante si continuano ancor oggi a nutrire molte incertezze e a dibattere diverse ipotesi.

In ogni caso già dall’età tardoimperiale appare verosimile l’esistenza di una qualche forma di insediamento (dapprima forse solo commerciale o militare e successivamente abitativo) in una posizione dominante rispetto alle acque circostanti (viste di volta in volta come elemento insalubre e ostile a uno stanziamento oppure, al contrario, sotto l’aspetto favorevole di difesa naturale e di via di collegamento) e collocato all’incrocio delle linee di comunicazione nord-sud ed est-ovest (Bergamo-Piacenza, Milano-Cremona, Brescia-Pavia) che, per certi versi, s’innestano sulle direttrici della centuriazione romana.

La presenza longobarda in territorio cremasco ha lasciato comunque ampie tracce di sé, oltre che nella toponomastica (suffissi in “-engo” di vari paesi del circondario), anche attraverso una nutrita serie di reperti diffusi sul territorio (particolarmente significativi quelli dei sepolcreti di Offanengo e Ricengo) e conservati nelle collezioni del Museo civico di Crema.

Nello stesso Museo sono custoditi anche vari esemplari di piroghe, presumibilmente di epoca altomedievale, recuperate nei greti dei fiumi Adda e Oglio e ottenute tramite escavazione dei tronchi d’albero. Tali imbarcazioni primitive sono la testimonianza dell’importanza dei corsi d’acqua per le popolazioni rivierasche, che li impiegavano abitualmente non solo per la pesca, ma anche per i trasporti e le comunicazioni, per le attività produttive e commerciali, traendone sostegno e vantaggio economico.

Il dominio longobardo in Italia ebbe termine con l’avvento dei franchi di Carlo Magno (VIII secolo), che svilupparono ulteriormente il precedente sistema curtense fondato sulla servitù della gleba ridando importanza al latifondo e alla signoria territoriale (feudo), che aveva nel castello del feudatario il proprio centro vitale. Di converso regredirono la posizione politica e il rilievo economico delle città, mentre notevole potenziamento ebbero i monasteri che, inizialmente concepiti come luoghi di isolato eremitaggio, divennero invece importanti centri per la conservazione e la diffusione della cultura e, grazie alla rivalutazione del lavoro manuale (l’ora et labora della regola benedettina), anche sicuri punti di riferimento in campo economico (in particolare per l’agricoltura) e sociale.


 

Bisogna tuttavia attendere il primo millennio per veder emergere dalle brume della storia il nome di Crema insieme con la comparsa sulla scena politica italiana di un nuovo protagonista: il libero comune. Le città infatti in questo periodo, scomparsa da tempo la minaccia delle invasioni barbariche, superata la fatalistica rassegnazione al millenarismo e spronate dai segni di decadenza del sistema feudale e dagli evidenti limiti dell’economia curtense, tornarono a rifiorire e a popolarsi grazie alle attività commerciali e artigiane (istituzione di fiere e mercati). Dal progressivo degrado degli istituti feudali trasse vantaggio una nuova classe sociale, la borghesia cittadina, che seppe organizzarsi in potenti associazioni d’arte (le corporazioni) con cui ottenne poteri politici ed economici sempre più importanti fino a raggiungere un’effettiva indipendenza dal “signore” e a imporre le nuove strutture comunali.

Di questo clima beneficiò anche il castrum Cremæ, località fortificata a ridosso della linea delle risorgive della pianura padana che, sfruttando la sua invidiabile posizione geografica favorita dalla viabilità terrestre e fluviale, potenziò e consolidò le proprie attività mercantili divenendo rapidamente il centro d’attrazione e di potere per tutto il territorio circostante, racchiuso nei non ben definiti confini dell’Insula Fulcheria dove non risulta che il feudalesimo abbia avuto specifica rilevanza, e attirando l’interesse e l’attenzione delle assai più potenti città vicine (Milano e Cremona).

Anche se l’esistenza dell’Insula Fulcheria è documentata ufficialmente solo a partire dal 1040 e quella di Crema dal 1072, già in precedenza quel territorio e soprattutto il suo principale insediamento in rapida crescita e sviluppo (com’è testimoniato dalla presenza di un impianto difensivo e, in breve volgere di tempo, di un Duomo dalle dimensioni simili alle attuali e dei borghi di San Pietro, San Benedetto e San Sepolcro), dovevano costituire un elemento di primaria importanza per le esigenze di espansione commerciale dei milanesi, che non a caso in quegli anni diedero un notevole contributo al popolamento della località.

La “fortezza” cremasca rappresentava infatti una testa di ponte fondamentale nella strategia di avvicinamento al Po (e quindi al mar Adriatico) che Milano stava perseguendo con tenacia e ostinazione, suscitando l’inevitabile ostilità delle altre città che sui traffici del grande fiume e dei suoi principali affluenti avevano costruito le proprie fortune. Così, nel 1098 le fortificazioni cremasche furono utilizzate nel primo di una lunga serie di scontri armati con Cremona, decisa a far valere con ogni mezzo la propria giurisdizione sull’Insula Fulcheria, concessale dall’imperatore Enrico III nel 1055 e rinnovata da Matilde di Canossa nel 1098.

L’alleanza con Milano e l’inimicizia con Cremona e Lodi furono un tema costante della politica cremasca nel corso di tutto il XII secolo, caratterizzato dagli sforzi dei comuni lombardi per affermare la propria autonomia nei confronti degli imperatori tedeschi. Già nel 1132 Lotario II di Supplimburgo, sceso in Italia per essere coronato imperatore da papa Innocenzo II, aveva vanamente assediato Crema per un mese ma, con l’elezione di Federico I di Hohenstaufen detto il Barbarossa, l’impero germanico ritrovò la propria unità e poté impiegare notevoli forze nel difficile compito di restaurare l’antica autorità sia sugli indocili comuni dell’Italia centrosettentrionale sia sul papato.

Nella sua prima discesa in Italia (1154-55) Federico Barbarossa, dopo aver messo a ferro e fuoco Asti, raso al suolo Tortona e mandato al rogo il ribelle Arnaldo da Brescia, venne incoronato imperatore da papa Adriano IV. Nel corso della sua seconda discesa (1158-62), con l’aiuto dei cremonesi e dei lodigiani strinse d’assedio i comuni ribelli di Crema (dal luglio 1159 al gennaio 1160) e di Milano, sconfiggendoli, abbandonandoli al saccheggio e radendoli al suolo. L’assedio di Crema fu contrassegnato da numerosi atti di ferocia e crudeltà compiuti da entrambe le parti in lotta; in particolare si ricorda il barbaro episodio degli ostaggi cremaschi che il Barbarossa ordinò di legare nudi alle torri d’assedio nella falsa speranza di poterle avvicinare alle mura nemiche senza che i cremaschi avessero il coraggio di respingerle nel timore di colpire i propri familiari e concittadini. Il tragico espediente non ebbe però l’effetto desiderato dagli assedianti e si tramutò in un’orrenda carneficina.

Nonostante le gravi sconfitte subite, i comuni italiani non rinunciarono a proseguire la lotta per le proprie libertà e, forti del sostegno di papa Alessandro III che aveva lanciato la scomunica contro il Barbarossa, seppero superare divisioni e diffidenze reciproche per riunirsi nella Lega Lombarda (giuramento di Pontida, 1167), dare avvio alla ricostruzione di Milano e ottenere nella battaglia di Legnano (1176) una decisiva vittoria sull’imperatore. La successiva pace di Costanza (1183), oltre al riconoscimento ufficiale della Lega Lombarda, sancì anche il buon diritto dei comuni alla propria autonomia nell’elezione dei magistrati, nel godimento dei proventi delle imposte e nella facoltà di battere moneta.

Milano se ne avvantaggiò consolidando il proprio ruolo di guida nell’ambito del movimento comunale e Crema, sua fedele alleata, ne beneficiò concretamente due anni dopo, nel 1185, quando il Barbarossa, nella sua sesta e ultima discesa in Italia, revocò l’editto di Lodi del 1162 con cui aveva vietato la ricostruzione della città e delle sue fortificazioni.


 

Lo stesso imperatore, il 7 maggio 1185, presenziò alla solenne cerimonia con cui si diede avvio alla ricostruzione della città e disegnò un nuovo e più ampio tracciato delle mura, che ora venivano a comprendere i borghi di San Benedetto, San Pietro e San Sepolcro (oggi Santissima Trinità). Il genero dell’imperatore, Guglielmo V marchese del Monferrato, donò alla ripristinata comunità le proprie insegne che sarebbero poi diventate, e lo sono ancora, lo stemma di Crema: “scudo d’argento, al capo abbassato di rosso, sormontato da una corona marchionale cimata da elmo con un destrocherio armato posto fra due corna di cervo e impugnante una spada d’argento con elsa d’oro che taglia il nodo ultimo del corno sinistro. Lo scudo è circondato da due rami di quercia e di alloro annodati da nastro dai colori dello stesso scudo.”

La ricostruzione di Crema non fu certo accolta con favore dai cremonesi, che nel 1192 riottennero dall’imperatore Enrico VI (figlio e successore del Barbarossa) i loro diritti su Crema. Ciò portò a nuovi scontri e scaramucce fra i due comuni, spingendo i cremaschi ad accelerare i tempi di realizzazione della nuova cinta muraria che, una volta completata (1199), risultò munita di ventuno torricelle e quattro torri, una per ciascuno dei quattro ingressi di Porta Ombriano, Porta Pianengo, Porta Serio e Porta Ripalta, cui si aggiunse la pusterla (la piccola apertura praticata nelle mura per il passaggio di una sola persona) di Ponfure (attuale via Ponte Furio).

L’età comunale portò al trasferimento in città di gran parte degli abitanti delle campagne, sia nobili che contadini, i quali si trasformarono in imprenditori, in mercanti o artigiani. Le conseguenze immediate si videro soprattutto nei terreni del comparto orientale di Crema, dove abitazioni e botteghe cominciarono a occupare gli spazi fino allora lasciati liberi o adibiti a usi agricoli, e nelle strade e vie d’acqua che furono soggette a una vasta opera di riattamento, manutenzione e potenziamento allo scopo di favorire lo scambio delle merci. Lungo le rive di rogge e canali sorsero inoltre in gran numero mulini, segherie, magli e altri opifici che sfruttavano la forza prodotta dai salti d’acqua.

Non per questo venne meno l’interesse per le attività agricole, che rimasero il fondamento dell’economia cremasca. Furono anzi incrementate in seguito alla ricerca di nuovi terreni da dissodare e mettere a coltura grazie al diradamento delle fitte boscaglie che da secoli circondavano Crema, all’introduzione di miglioramenti nella tecnica agricola e della coltivazione intensiva, alla realizzazione di interventi di canalizzazione delle rogge e dei fontanili che migliorarono e resero talmente capillare il sistema irriguo da coprire quasi il 90% del territorio cremasco. Decaduta la funzione sociale ed economica del castello feudale, il fenomeno dell'inurbamento non portò allo spopolamento delle campagne, dove si assistette invece al sorgere di piccoli borghi costituiti da case sparse abitate da quanti erano impegnati nella coltivazione delle terre.

L'affermarsi e il consolidarsi della mentalità mercantilistica, nelle sue diverse forme ed espressioni di imprenditorialità, investimenti economici e sfruttamento dei mezzi di produzione, agricoltura intensiva e innovazioni, fu alla base di un'economia in crescita, aperta agli scambi e ormai libera dalle pastoie feudali. Il XIII secolo fu quindi un periodo economicamente florido, durante il quale fu possibile realizzare grandi opere pubbliche destinate inizialmente soprattutto alla difesa (le mura, come s’è visto, con torri, porte, fossati e terrapieni, il castello di Porta Serio) e successivamente anche al decoro della città con la ricostruzione del Duomo (1284-1341) e l’erezione della Torre Guelfa (1286), che costituiscono i due maggiori e più significativi monumenti del periodo medievale conservati in città.

Nondimeno, o forse proprio per la crescente ricchezza e la sua disuguale distribuzione, anche a Crema, come negli altri comuni italiani, scoppiarono rivalità fra le classi dominanti (nobiltà e borghesia) e il popolo. Né alla città fu risparmiato il deleterio fenomeno della divisione tra fazioni guelfe (sostenitrici del papa) e ghibelline (fautrici dell'imperatore), con la conseguente e funesta serie di lotte e discordie intestine che ne lacerarono profondamente il tessuto sociale e portarono a un progressivo deterioramento delle istituzioni comunali. Dopo alterne vicende, espulsioni e rivincite delle parti avverse, incendi e devastazioni reciproche, vani interventi delle autorità imperiali e religiose per ripristinare la concordia, nel 1316 i guelfi cremaschi, capeggiati dai Benzoni, si impossessarono della città espellendone i ghibellini.

Per Crema, la lotta tra le fazioni significò anche una radicale trasformazione del precedente sistema di alleanze, indirizzato non più in funzione dell'interesse generale della città ma di quello delle singole fazioni. Così l'antico sodalizio con Milano si divaricò nel sostegno degli uni ai guelfi Torriani e degli altri ai Visconti ghibellini. Il cremasco Venturino Benzoni, gran talento militare e fiero oppositore di Matteo Visconti, si guadagnò l'elezione a capitano del popolo milanese, ma finì strangolato dai ghibellini cremaschi nel 1312.

Per porre fine alle lotte tra le fazioni, vista la debolezza dell'autorità imperiale e la lontananza di quella papale (cattività avignonese dal 1309 al 1377) che le avevano favorite, i comuni decisero di confidare tutte le potestà di governo a una sola persona, forte e influente. L'accentramento del potere assunse rapidamente e un po' dovunque le caratteristiche del dominio personale e portò all'instaurazione delle varie signorie. Crema, dopo una breve parentesi sotto il dominio della Chiesa, il 18 ottobre 1335 si arrese ad Azzone Visconti, ponendo così fine alla propria autonomia comunale e dando inizio a un periodo di sottomissione a Milano che si protrasse fino agli albori del Quattrocento.

Ciò non impedì alla città di proseguire nel proprio processo evolutivo, basato essenzialmente su una mentalità imprenditoriale e commerciale destinata a improntare di sé tutta l’economia cremasca, mentre l’assetto architettonico e l’impianto urbano prendevano quei connotati che sarebbero poi stati fissati definitivamente con l’erezione delle cosiddette mura venete. In tale prospettiva la conclusione della rifabbrica del Duomo (1341) fu solo il momento più rappresentativo di un fervore costruttivo che interessò principalmente la sfera religiosa (chiese di San Marino, Santa Elisabetta, San Pietro Martire, San Michele e relativi conventi francescani e domenicani). In campo civile si ricordano l'istituzione della Domus Dei (il futuro Ospedale Maggiore) nel 1351 e la costruzione del castello di Porta Ombriano nel 1370 per volontà di Bernabò Visconti.

 

La peste del 1361 e San Pantaleone

Nel 1361 la città venne funestata dalla peste. Racconta Pietro Terni nella sua Storia di Crema: "Crema a tale estremo era ridotta che più non si trovava chi, nel disperato caso, degli infermi cura togliesse: tutti infettati erano, né l'uno all'altro poteva dar soccorso."

Fu in tale circostanza che i cremaschi cominciarono a venerare con particolare devozione la figura di San Pantaleone. Narra ancora il Terni: "Il glorioso Redentore, volendo i miracoli del Santo al mondo manifestare, la mente aperse ai poveri ammalati perché ricorrere dovessero a San Pantaleone. Uniti insieme alcuni di loro il meglio che poterono, fecero voto al glorioso Santo di alcune annuali oblazioni e lo tolsero per patrono, che prima avevano Sant'Antonio, San Sebastiano e San Vittoriano. Fatto il voto, subito, nel decimo giorno di giugno, rimase la terra talmente dalla malvagia sorte liberata, che pare che dal vento fosse lo contagio levato. Dicesi che il Santo protettore fu veduto in aere sopra la terra con la mano distesa, come nel suggello maggiore la Comunità scolpito mostra; havuta la grazia, ordinarono le processioni annuali nel giorno della liberazione, che fu ai dieci di giugno, di tutte le arti ed huomini di Crema e del territorio, come fino ai giorni nostri si costuma."

Dal che si comprende perché la festa patronale di Crema ricorra il 10 giugno, mentre nel calendario ecclesiastico San Pantaleone è ricordato il 27 luglio, giorno della sua morte nel 305 a Nicomedia di Bitinia (oggi Izmit, in Turchia) nel corso della persecuzione voluta da Diocleziano al principio del IV secolo.

 

Dopo la morte di Gian Galeazzo Visconti (1402) e il successivo periodo di anarchia contraddistinto dal riesplodere delle faide tra guelfi e ghibellini, a Crema si affermò la signoria locale dei Benzoni: prima con i fratelli Bartolomeo e Paolo (1403-5) e poi con il loro nipote Giorgio (1402-23) che, seppur insignito della nobiltà veneziana, dovette riconoscere la sovranità del duca di Milano Filippo Maria Visconti. Tramutatasi infine in guerra aperta la rivalità esistente fra quest'ultimo e la Serenissima Repubblica per le mire espansionistiche nutrite da entrambi gli stati, Giorgio Benzoni riparò con la famiglia a Venezia (1423), mentre Crema ritornava sotto il diretto controllo di Milano.

Morto Filippo Maria Visconti nel 1447, a Milano venne instaurata la Libera Repubblica Ambrosiana, che pose a capo del proprio esercito Francesco Sforza, marito di Bianca Maria (figlia di Filippo Maria Visconti). I veneziani, avanzando in Lombardia, cinsero d’assedio Crema che il 16 settembre 1449, disperando negli aiuti dello Sforza, si pose sotto le insegne del leone di san Marco. Con la successiva pace di Lodi (1454), Francesco Sforza fu riconosciuto da Venezia duca di Milano mentre Bergamo, Brescia e Crema furono cedute definitivamente ai veneziani. Iniziò così per i cremaschi il dominio della Serenissima, destinato a durare, salvo una breve interruzione nel 1509-12, fino al 1797.

 

L’arrivo di Venezia significò per Crema un deciso cambiamento. La condizione di territorio ai confini dei domini veneziani di terraferma le ottenne un trattamento privilegiato soprattutto dal punto di vista degli scambi commerciali e con un grado di autonomia amministrativa senza dubbio superiore a quello goduto dalle vicine città dello stato di Milano; si poterono perciò ripristinare statuti e ordinamenti comunali, sia pure con un governo aristocratico e sotto il controllo di un podestà nominato in laguna. Venezia inoltre riconobbe immediatamente a Crema la dignità di "città" e interpose i suoi buoni uffici perché in ambito ecclesiastico le fosse concessa l'istituzione di una diocesi autonoma (aspirazione che si sarebbe concretizzata soltanto nel 1580).

La dominazione veneta non si limitò però a intervenire sugli aspetti politici e amministrativi, ma influenzò un po’ tutto lo stile di vita dei cremaschi, che venne connotato da una diffusa tendenza alla nobilitazione aristocratica. Il che, per la piccola nobiltà e la ricca borghesia della città istintivamente aduse alla micragnosità provinciale, non significò solo mero esercizio del potere, possibilità di carriera e acquisizione di commesse o laute prebende, ma volle anche dire adeguamento del tenore di vita alla propria posizione sociale, pratica della munificenza e della liberalità, promozione della cultura e delle arti, ricerca della raffinatezza, cura di un decoro esteriore confacente a un'intima nobiltà d'animo.

In coincidenza con il diffondersi dei principi e degli ideali rinascimentali, per Crema quello veneziano fu anche il periodo della “monumentalità”, dello sviluppo delle arti liberali, delle grandi opere pubbliche: si provvide perciò alla selciatura generalizzata di strade e piazze (1455), si diede dignità e prestigio alla piazza del Duomo con la costruzione del porticato meridionale (1474), con l’abbattimento del Palazzo Vecchio addossato alla parete nord del Duomo (1497), con la ricostruzione del Palazzo Comunale, del Torrazzo e del Palazzo Pretorio (1525-55) e con l’erezione del Palazzo della Notaria (1548-49), poi donato all’istituenda diocesi come futura dimora vescovile, si demolì il castello visconteo di Porta Ombriano (1451) e si allargò e fortificò quello di Porta Serio (1468), sorsero le possenti mura "venete" (1488-1508), la splendida basilica di Santa Maria della Croce (1493-1500) insieme con numerose altre chiese e conventi (Sant’Agostino 1439-66 oggi sede del Museo civico, San Domenico 1463-71 ora adibito a teatro, San Pietro 1467, Santo Spirito e Santa Maddalena 1511-25, San Giacomo 1512, San Rocco 1513-20, Santa Chiara 1514, San Bernardino 1518-34), noché gli ospedali di Santa Maria Stella (1481-90) e della Misericordia (1535), il Monte di Pietà (1569-86) e  solenni dimore private (come i palazzi Benzoni-Martini-Donati e Zurla-De Poli), venne scavato il colatore Travacone per dirottare le acque del Cresmiero (proveniente dal Moso) direttamente nel Serio anziché nella roggia Crema (1497), nacquero la Cappella musicale del Duomo, l’Accademia dei Sospinti e il teatro, ebbero nuovo impulso le scuole pubbliche, mentre pittori (Vincenzo Civerchio, Aurelio Buso, Giovanni da Monte) e storiografi (Pietro Terni, Alemanio Fino) conobbero una vera e propria stagione d’oro.

Il dominio veneto risparmiò a Crema la miseria e la decadenza economica del vicino ducato di Milano occupato dagli spagnoli, di cui il Manzoni ci ha lasciato una vivida e indimenticabile descrizione nei Promessi sposi. Anche se in difficoltà nei suoi possedimenti orientali (battaglia di Lepanto del 1571) e già soggetta ai primi segni di declino dopo lo spostamento delle principali rotte commerciali dal Mediterraneo all’Atlantico, Venezia godeva ancora di una notevole ricchezza e la riverberava, insieme con un immobilismo politico un po’ miope, sui propri territori, dove Crema continuò a svolgere il ruolo di importante centro agricolo e di punto di riferimento per gli scambi commerciali.

Anche a Crema sorse un tribunale dell’Inquisizione che ebbe sede nel convento di San Domenico (1614). Né si poté evitare il diffondersi in territorio cremasco della terribile peste manzoniana nel 1630 (le cronache riferiscono di 10.000 morti), con un lazzaretto allestito a Santa Maria della Croce e il cimitero a San Bartolomeo “alle ortaglie”, che da allora venne chiamato “ai morti”.

Nel 1648 la Serenissima chiese denari anche a Crema per fronteggiare le spese della guerra contro i turchi, e a tal fine vennero confiscati i beni dei monasteri di San Domenico, San Benedetto e Sant’Agostino. Allo stesso scopo Gasparo Sangiovanni Toffetti donò 60.000 ducati a Venezia, che lo ricompensò iscrivendolo nell’albo d’oro della nobiltà veneta (unico cremasco a ottenere un simile onore dopo i Benzoni).

Anche nel XVIII secolo la città poté vantare il nome illustre di Mauro Picenardi in campo pittorico e continuò ad arricchirsi di palazzi privati (Terni-Bondenti, Albergoni-Arrigoni), di chiese (quella del Salvatore all’interno dell’Ospedale maggiore, l’ora-torio detto del Quartierone, le ricostruzioni della Santissima Trinità, di San Giacomo, di Sant’Antonio Viennese e la pesante alterazione in stile barocco del Duomo) e di un teatro (1716-23), realizzato però in modo tanto insoddisfacente che si decise di ricostruirlo su progetto di Giuseppe Piermarini nel 1782-86.

L’istituzione di un’Accademia di agricoltura (1769) fu la concreta testimonianza della diffusione anche a Crema della cultura illuminista e dell’interesse per il progresso delle scienze applicate. Fiorirono come sempre gli scambi commerciali (Fiera di San Michele) e si provvide a un generale riattamento delle strade cittadine, sorsero le fabbriche di campane (Crespi) e nacque l’arte organaria, che da allora ebbe una lunga e prestigiosa tradizione coltivata fino ai giorni nostri.

 

   

La fine del secolo XVIII, a Crema come nel resto d’Italia e d’Europa, fu squassata dai grandi sconvolgimenti portati dalla Rivoluzione Francese prima e dalle guerre napoleoniche poi. La campagna d’Italia (1796-97) fruttò a Napoleone la conquista di tutta la Lombardia: il 27 marzo 1797 un drappello di dragoni francesi entrò in Crema senza incontrare alcuna resistenza, arrestò l’ultimo podestà veneto della città e vi istituì la municipalità che portò per una brevissima stagione il vanaglorioso titolo di Repubblica di Crema, assorbita dopo soli due mesi nella ben più ampia Repubblica Cisalpina. Cessò così, senza colpo ferire, la plurisecolare dominazione veneta sulla città: le insegne di San Marco furono rimosse, il seminario soppresso così come gli ordini religiosi e i loro conventi (Sant’Agostino, San Francesco, San Domenico, poi utilizzati come caserme), gli oggetti preziosi delle chiese e della diocesi confiscati, il tribunale dell’Inquisizione abolito.

Il dominio francese comportò per Crema, oltre alle varie soppressioni e confische, all’applicazione del codice napoleonico e delle nuove leggi (frazionamento delle proprietà, uguaglianza di tutti di fronte alla legge, coscrizione obbligatoria) e alla diffusione dell’istruzione e delle idee liberali, anche la decadenza dei privilegi connessi al suo precedente status di territorio di frontiera e di capoluogo di provincia.

I fatti principali verificatisi a Crema in quei primi lustri del XIX secolo furono la scossa di terremoto che il 12 maggio 1802 danneggiò il Duomo e la basilica di Santa Maria della Croce, la realizzazione di lampioni a olio per l’illuminazione pubblica notturna (1802), l’abbattimento e ricostruzione con funzione ornamentale di Porta Serio e Porta Ombriano (1804-7), la demolizione del castello di Porta Serio e l’apertura del cimitero comunale (1809).

La sconfitta di Napoleone a Lipsia (1813), poi ribadita da quella di Waterloo (1815), determinò il crollo del suo impero e la restaurazione degli antichi sovrani sancita dal congresso di Vienna. Il ritorno degli austriaci in Lombardia significò per il territorio cremasco l’inquadramento nella neocostituita provincia di Lodi e Crema (24 gennaio 1816), che solo formalmente poneva sullo stesso piano le due città: in realtà il capoluogo provinciale e il centro della vita amministrativa fu Lodi.

Il successivo trentennio di dominio austriaco si rivelò sostanzialmente positivo: pur senza gli antichi privilegi, per Crema fu un periodo di benessere e di tranquillità nel corso del quale venne promossa soprattutto l’agricoltura, con la diffusione della stabulazione del bestiame, l’incremento delle produzioni lattiero-casearie, l’introduzione dell’allevamento del baco da seta, la coltivazione e la tessitura del lino.

L’economia agraria tuttavia, basata sul controllo delle grandi proprietà terriere (appannaggio dei nobili), andò perdendo vigore mentre si affermava la nuova classe borghese impegnata nelle attività manifatturiere e nei commerci. Dal 1843 Crema fu collegata con Milano da un servizio giornaliero di diligenze e la Cassa di risparmio delle province lombarde aprì in città una propria agenzia. Da segnalare la demolizione della chiesa di Sant’Agostino, l’istituzione del corpo dei pompieri (1835) e la creazione del Campo di Marte per le manovre della guarnigione militare (1847).

Il definitivo declassamento amministrativo pubblico (seguito all'inserimento nella provincia di Cremona) diede per converso un nuovo impulso all’iniziativa privata, alle sue capacità imprenditoriali e al rafforzamento delle strutture produttive. La necessità di far fronte a una situazione di concorrenzialità senza potersi più giovare di misure protezionistiche liberò energie e potenzialità insospettate. Crema, pur mantenendo un’alta produzione agricola grazie all’adozione di tecniche d’avanguardia e di forme consortili, associative e cooperativistiche, assunse immediatamente il ruolo di polo industriale e produttivo di tutta la provincia (il linificio Maggioni, aperto a Crema nel 1862, fu la prima industria cremonese) in forza del ricorso alle nuove tecnologie e alla creazione di solide strutture commerciali e creditizie (Banca Popolare Agricola di mutuo credito, Casse rurali e artigiane), indispensabili per lo sviluppo della sua vivace economia.

Anche l’attività artigianale seppe adeguarsi alle mutate condizioni dei tempi, com’è testimoniato dalla nascita delle fabbriche d’organi di Pacifico Inzoli nel 1867 e di Giovanni Tamburini nel 1893, che rinnovarono una tradizione settecentesca portandola a livelli d’eccellenza internazionale mantenuti fino ai nostri giorni.

Un altro essenziale fattore di sviluppo fu l’attenzione per l’istruzione e la cultura: nel 1860 fu aperta la scuola normale (magistrale), nel 1863 la scuola tecnica, nel 1864 le scuole serali, la biblioteca comunale (diretta da don Giovanni Solera) e l’asilo infantile Principe Umberto, nel 1899 la scuola serale popolare di commercio.

Lo sviluppo della città proseguì nel Novecento con la realizzazione di collegamenti più veloci, non solo automobilistici (servizio di linea Crema-Codogno, 1912) ma anche telefonici (linea Crema-Lodi-Milano, 1904), a tutto vantaggio delle attività imprenditoriali. In campo industriale vanno ricordati gli importanti insediamenti della Ferriera di Crema Stramezzi & C. (1913) e della Società Serio (poi Everest, poi Olivetti, 1932-1992), mentre per l’agricoltura nel 1914 fu aperta una stazione sperimentale di batteriologia agraria.

 

Altre opere di particolare rilievo furono il restauro della facciata del Duomo (1913-16), il collaudo dell’acquedotto pubblico (1917) e, dopo la I guerra mondiale cui anche Crema pagò il proprio tributo di uomini, la creazione del Civico istituto musicale Luigi Falcioni (1919), l’inaugurazione del velodromo (1922), l’illuminazione elettrica in sostituzione dei fanali a gas (1930), la costruzione della rete fognaria (1933) e l’abbassamento di 30 centimetri del livello di calpestio di piazza Duomo (1936-37).Il tribunale, istituito nel 1862, venne soppresso nel 1923 e di nuovo ricostituito nel 1948, mentre il comune di Crema allargava confini territoriali e giurisdizione amministrativa inglobando i precedenti comuni autonomi di Ombriano, Santa Maria della Croce e San Bernardino (1928).